PRAGMATICA DELLA VISIONE IN FOTOGRAFIA
La visione comporta a livello cerebrale l’attivazione di ampie e complesse strutture anatomico-funzionali, seguita solo dalla verbalità.
Il suo funzionamento prevede l’utilizzo di una larga parte delle strutture neuronali del nostro encefalo.
Ovviamente questa mia trattazione sarà la più semplice e coincisa possibile, trattandosi di un articolo con il quale desidero solo dare dei semplici suggerimenti e non certamente di affrontare un trattato organico.
Mi occuperò quindi di illustrare le correlazioni anatomo funzionali e di spiegare come l’attivazione di questi circuiti neuronali possano portare ciascuno di noi verso il riconoscimento dell’oggetto –inteso in senso lato- nella fotografia e le relazioni tra esso e la sua collocazione in un complesso rapporto tra la sua immagine mentale (visema) e il suo significato concettuale (noema) e come tale intersecazione porti verso una corretta lettura della fotografia, a prescindere da una sua valutazione estetica.
Anatomicamente la visione prevede un sistema di input, che è rappresentato dagli occhi e dalle vie nervose di trasferimento dello stimolo visivo quali i nervi ottici e dal sistema primario di elaborazione sito nella regione occipitale dell’encefalo.
La stimolazione visiva, tuttavia, comporta l’attivazione di altre aree cerebrali molto più estese e complesse che coinvolgono i centri di elaborazione delle emozioni e della parola.
Ma ora cerchiamo di comprendere le fasi che portano alla formazione nella nostra mente di quella che chiamiamo immagine visiva e successivamente del visema e dell’idema.
Lo stimolo visivo procede dall’occhio all’encefalo dove dà luogo alla formazione di una immagine nella nostra mente, che prende il nome di visema.
Il visema ancora non è identificato, ad esempio se noi vediamo un cane l’immagine che si forma nella nostra mente prende il nome di visema. Il visema è riferito anche alle immagini che vengono immagazzinate nella memoria, cioè è un visema anche l’immagine di un cane che anziché vederlo con gli occhi, lo richiamiamo alla nostra mente ad occhi chiusi.
Il visema viene sottoposto ad una elaborazione complessa che prevede delle fasi che ancora oggi sono in discussione, comunque quella che ritengo sia più plausibile ritiene che il visema venga scomposto in forme molto più semplici e confrontate con quanto abbiamo in memoria, finchè non si forma un collegamento immagine-parola e quindi non gli venga attribuito un senso compiuto, cioè un idema.
L’idema, oltre a potersi formare da solo e quindi essere responsabile della “fantasia” e generare a sua volta dei visemi, rappresenta l’aspetto concettuale dell’immagine.
In fotografia noi siamo costretti a leggere immagini bidimensionali che vengono elaborate formando idemi non bidimensionali ma tridimensionali, anche se la sensazione immediata è di vedere una fotografia su un foglio o lo schermo di un computer. La tridimensionalità la ricreiamo nella nostra mente soprattutto quando ci concentriamo su un particolare dell’immagine (il “Punctum” di buona memoria barthesiana…), grazie al fenomeno dell’esclusione, cioè alla capacità del nostro encefalo di sfuocare e ridurre la luminosità di tutto quanto sta intorno al nostro punto d’interesse.
Quindi abbiamo compreso come la fotografia entra nella nostra mente e viene gestita permettendoci di riconoscere quanto in essa si trova e di dare un senso a tutti i suoi componenti, ma anche di come siamo in grado di focalizzare la nostra attenzione solo su uno in particolare.
Ma cosa succede poi? Come ho detto prima i fenomeni innescati da uno stimolo visivo sono estremamente complessi e coinvolgono comunità di neuroni via, via sempre più numerose e articolate.
Si innesca quello che tecnicamente viene denominato come “Modello operazionale-vettoriale degli assetti multipli paralleli”.
A questo punto leggo lo scoramento negli occhi del lettore e la sua tentazione di chiudere qui la lettura, ma la realtà è piuttosto semplice da comprendere.
Innanzitutto occorre pensare all’encefalo come computer diviso in tante schede logiche dove, in ciascuna di esse, avvengono cose diverse, ma nello stesso tempo, pur elaborando informazioni, ciascuna indipendentemente dall’altra, sono anche unite da connessioni logiche che permettono processi molto più complessi ed estesi.
Gli assetti, cioè le schede logiche, sono raggruppamenti di neuroni che cooperano tra di loro a eseguire una determinata funzione.
Tra questi riconosciamo:
- un assetto semantico, cioè un gruppo di neuroni deputati a creare le immagini mentali, i così detti visemi;
- un assetto cognitivo-concettuale, con il compito di riconoscere gli oggetti e di collegarli al nome e al loro significato concettuale e a tutte le loro proprietà culturali: i così definiti idemi;
- un assetto emozionale, cioè l’unione dei neuroni delle strutture filogeneticamente più antiche (Cingolo, Talamo, Amigdala, Ippocampo, regione prefrontale) e comuni anche alle altre specie animali, il cui scopo è di indurre un’emozione;
- un assetto sensomotorio-corporeo, cioè deputato a elaborare le sensazioni visuali in rapporto con il proprio corpo, come sua posizione nello spazio, e di indurre reazioni involontarie legato allo stato emotivo, come accellerazione del battito cardiaco, sudorazione, tremore ecc.
- un assetto pragmatico, la cui funzione è quella di indurre azioni coerenti con l’immagine osservata e con gli altri asseti.
Come avete potuto leggere un atto visivo innesca una serie di meccanismi estremamente complessi. Così la semplice visualizzazione di una fotografia innesca una serie di risposte che possiamo suddividere su due livelli: uno puramente emozionale e l’altro concettuale idetico.
Il livello emotivo è, come riferito sopra, comune anche agli animali e comporta l’attivazione di strutture cerebrali filogeneticamente antiche, la cui funzione è di attivare risposte immediate, automatiche che in associazione all’assetto senso-motorio servono soprattutto a scopi di difesa ambientale.
Ne possiamo derivare che quando ci sentiamo dire che una fotografia è bella perché regala una forte emozione, possiamo rispondere che anche un cane di fronte alla fotografia di una bella bistecca è colto da una scossa emotiva non indifferente. Pertanto l’utilizzo di questo metro valutativo riferito a una fotografia è solo grezzo, primitivo e inefficace nel definire se una fotografia abbia un contenuto artistico o no. A riprova che quanto affermo è vero basta verificare che alcuni studi di neurofisiologia hanno dimostrato che se a un soggetto viene mostrata la figura di un oggetto (esempio una pianta) si attivano prima gli assetti cognitivi e poi gli emozionali, mentre se gli viene mostrata la figura di una persona avviene l’esatto contrario.
Allora occorre che si dia la preferenza all’attivazione dell’assetto concettuale, il quale è filogeneticamente recente e presente solo nell’uomo (non mi riferisco ai neuroni specchio) per la lettura di una fotografia, quindi è necessario che la persona deputata a leggere l’immagine si liberi della parte esclusivamente emozionale e ricerchi la componente idetica contenuta nella fotografia, infatti essa soltanto contiene le corrette chiavi di lettura.
Salve, le chiedo se e’ possibile avere una bibliografia del testo in questione. Grazie
Per la bibliografia:
La mente immaginale. Immaginazione, immagini mentali, pensiero e pragmatica visuali
Autori e curatori Mariano Bianca
CollanaFilosofia, storia e scienze sociali
1a edizione 2009 (Codice editore 871.15)
Introduzione alla Percezione (pdf)
Dispensa per il corso “Percezione e Psicofisica”, Corso di Laurea Specialistica in “Psicobiologia e Neuroscienze Cognitive”, Università di Parma, 2013-2014.
seconda versione
Nicola Bruno (2014)
Il paradosso della percezione fotografica: una nuova estetica della verità
Paola Pennisi – paola.pnns@gmail.com
Dottorato di Estetica – Università degli studi di Palermo
RETI, SAPERI, LINGUAGGI | ANNO 4 | N. 1 | 2012 | ISSN 2279-7777
OPINION ARTICLE
published: 11 February 2014 doi: 10.3389/fpsyg.2014.00098
Aesthetic emotions, what are their cognitive functions?
Leonid Perlovsky*
Athinoula A. Martinos Center for Biomedical Imaging, Harvard University, Charlestown, MA, USA *Correspondence: lperl@rcn.com
Edited by:
Luiz Pessoa, University of Maryland, USA
Reviewed by:
Daniel Saul Levine, University of Texas at Arlington, USA
See discussions, stats, and author profiles for this publication at:
http://www.researchgate.net/publication/278243635
Fenomenologia teorica e sperimentale e Scienza della visione
ARTICLE in RIVISTA DI ESTETICA · JANUARY 2015
Components of aesthetic experience: aesthetic fascination, aesthetic appraisal, and aesthetic emotion
a Pion publication dx.doi.org/10.1068/i0450aap ISSN 2041-6695 perceptionweb.com/i-perception
Slobodan Markovic ́
Laboratory of Experimental Psychology and Department of Psychology, University of Belgrade, Serbia; e-mail: smarkovi@f.bg.ac.rs
Received 14 May 2011, in revised form 30 November 2011; published online 12 January 2012
Ecco la bibliografia consultata, chiedo scusa per il ritardo.
Cordiali saluti
Carissimo, hai perfettamente ragione. Io mi riferivo solo a coloro che si fermano al puro aspetto emozionale e non vanno oltre. È palese che la parte di coinvolgimento psicologico ha un suo ruolo, tale ruolo comunque va sempre correlato all’aspetto connotativo della fotografia. Molti, con l’emozione, si fermano al puro aspetto denotativo e quindi non fanno una lettura corretta dell’immagine.
Grazie per il tuo intervento.
Grazie a te della tua risposta! Il problema rimangono le emozioni, in tutti i campi, alla fine fregano. Buona notte, e grazie per questo spunto di riflessione interessante.
Articolo interessante, ma tratta solo di un aspetto, tralasciando la parte psicologica, che a mio avviso è estremamente importante: Jung ha definito un inconscio collettivo, per cui, davanti ad un immagine chiunque può provare un’emozione, di vario tipo. Ad esempio le fotografie nei campi di concentramento (e via così). Inoltre non va sottovalutato, sempre di stampo Junghiano, l’importanza del doppio trasmesso attraverso la fotografia, per cui all’interno della fotografia troveremo sia la realtà che si pare davanti al fotografo, sia la sua componente inconscia. Freud è stato il a capire lo stretto legame tra l’inconscio e l’espressione artistica. Considerando che davanti ad una fotografia avviene una sorta di transfert, per cui il fruitore si trova ad indagare il proprio Io a confronto con quello del fotografo. Non si può solo utilizzare un assetto concettuale, rimane povera la lettura poi.