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 Come amante della fotografia mi sarebbe piaciuto moltissimo vivere i grandi fermenti della prima metà del ‘900.

Allora tra fotografi, pittori, scultori, scrittori, filosofi e poeti vi era un mirabile interscambio culturale.

Parigi, Londra e New York erano il triangolo d’oro della cultura, i grandi movimenti intellettuali sono stati partoriti in queste città, in costante gara a produrre idee e innovazioni che hanno lasciato segni indelebili nel mondo dell’arte.

I fotografi di allora si trovavano in locali non proprio snob, a discutere con gli altri artisti e ne assimilavano le idee, le emozioni e le conoscenze.

Spesso il fotografo era anche pittore, scrittore o altro e questo amplificava il background culturale in cui egli assorbiva le novità e le nuove modalità espressive. Ma attenzione, non certo le “mode”, che anzi erano viste come mortificazione della cultura.

Il nuovo era veramente innovazione, le idee erano frutto di profonde riflessioni intellettuali e interculturali.

Quindi la cultura è veramente necessaria per produrre innovazione, idee e, soprattutto arte.

Il fotografo, anche oggi, non può prescindere dalla cultura, altrimenti rischia solo di produrre mediocrità o di scimmiottare le mode del momento.

Purtroppo, se mi guardo intorno, assisto più al divorzio, che al matrimonio tra cultura e fotografia.

Al di là del riprendere i soliti discorsi sulla mediocrità del web e la proliferazione di immagini, devo purtroppo prendere atto che anche molti autori contemporanei di successo dimostrano una carenza di idee costruttive e innovative veramente preoccupante.

Oggi moltissimi sono legati alla soddisfazione del proprio successo, alla produzione di immagini che appaghino l’occhio, ma vuote nel contenuto: e questo è male.

L’interscambio intellettuale tra i protagonisti dell’arte è relegato solo ad alcuni santuari impenetrabili o a carbonari della cultura, il fotoamatore “evoluto” al massimo frequenta un circolo fotografico, spesso chiuso e ristretto a pochi iniziati, non si cerca mai un dialogo con altri protagonisti delle arti affini o della filosofia, ci si chiude nel proprio tabernacolo e finita lì.

In pratica è in atto un vero divorzio tra cultura e fotografia, testimoniato dalla mediocrità che ci scorre quotidianamente sotto gli occhi.

Non a caso molte mostre, o pubblicazioni sono rivolte a esporre o pubblicare opere dei vecchi mostri sacri, ormai triti e ritriti.

Pochissime sono le mostre dedicate agli autori contemporanei apportatori di vero ingegno culturale, probabilmente per il fatto che pochi sono in grado di leggere e apprezzare le loro opere e i galleristi, che sono anche loro corresponsabili di questo divorzio, preferiscono orientarsi su autori molto più commerciali.

Non faccio a loro una colpa, certamente non lo fanno per ignoranza, ma per esigenze di bilancio, però sono certo che potrebbero osare di più.

Credo, invece, che la maggior parte delle responsabilità ricada sui critici, che spesso preferiscono seguire l’onda delle mode e preferiscono osannare l’ovvio e ignorare l’autore impegnato.

Non è che per caso anche loro hanno divorziato dalla cultura?

No, non credo, ma sono convinto che anche loro siano molto sensibili al vile denaro e che quindi annusino subito l’autore che avrà le maggiori chance di successo popolare, a scapito di quello, magari molto più bravo e preparato, ma che presenta opere di difficile interpretabilità, cioè opere consone a un pubblico colto e raffinato: oggi una vera rarità.

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