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ColliniIn questo mio breve articolo intendo analizzare l’influenza che i mass-media hanno sulla produzione quotidiana di chi abitualmente è definito fotoamatore evoluto o professionista e che nell’economia della pubblicazione quotidiana d’immagini, soprattutto in ambito web, produce ogni giorno un numero imponente di fotografie.

Spesso la qualità, in termini di contenuti, di tali fotografie non è particolarmente eccelsa quindi cercherò di analizzare quale scambio culturale vi sia tra le immagini prodotta dai mass-media e dai fotografi.

Ogni immagine ha una sua funzione indicale, cioè porta al suo interno due elementi fondamentali: il segno e il simbolo. Segno è semplicemente quello che osserviamo sul piano della carta fotografica, il simbolo corrisponde all’interpretazione cognitiva che noi diamo al segno e che spesso è legato all’ambiente culturale di riferimento.

La fotografia di un triangolo, ad esempio, nulla ci trasmette se non la forma geometrica, ma se questo triangolo è fotografato come dipinto sull’abside di una chiesa, allora per i cattolici è interpretato come la personificazione di Dio, giacché in quest’ambiente culturale assume tale ruolo di simbolico.

Ne deriva che la fotografia si pone come mezzo comunicativo dotato di ambiguità perché pur avendo una sua proprietà di puro documento, incorpora anche significati nascosti che richiedono uno sforzo interpretativo.

Ora i mass-media hanno come scopo quello di trasmettere il simbolo in modo da renderlo facilmente interpretabile da tutti, anche da chi non possiede certamente un retroterra culturale di spessore.

Per ottenere questo risultato essi utilizzano spesso delle immagini pubblicitarie o raramente anche non pubblicitarie, ma tutte caratterizzate da una comunanza di caratteristiche oggettive.

Intanto sfruttano il quotidiano, cioè utilizzano immagini in cui tutto sia facilmente riconoscibile: dagli oggetti familiari, a situazioni semplici come un tramonto, un paesaggio noto, una donna o un uomo che esprimano il meglio dei canoni estetici di massa.

In una parola ogni giorno ci sono sottoposte fotografie banali, dal contenuto ridondante, retorico e ideologicamente orientato, in grado di stimolare in chi le osserva una franca empatia, vincolata alla facile intuitività dello spettatore nel riconoscere gli elementi che le compongono e dal messaggio simbolico pressoché privo di ogni valenza culturale.

Queste fotografie sono sempre molto ben costruite e tecnicamente irreprensibili e quando sono presenti figure umane, queste presentano costantemente atteggiamenti stereotipati ed espressioni che trasmettono emozioni in modo semplice e immediato.

In buona sostanza le fotografie in oggetto veicolano solo elementi simbolici in grado di essere letti e decodificati in modo elementare facendo costantemente leva su una base culturale di livello basso propria del target di massa.

A mio modo di vedere, si è venuta così a creare un’estetica sociale di massa entro la quale circolano solo pochi e semplici canoni che continuamente replicano se stessi in un continuo generarsi di immagini tanto semplici, quanto mediocri.

In questa fotografia di massa sia i fotoamatori, che i professionisti, spesso indulgono proponendo scatti culturalmente di livello molto modesto.

In sostanza mancano completamente dell’aspetto metaforico e connotativo che sono propri della genialità intuitiva del fotografo con un solido retroterra culturale e in grado di tradurre il reale impresso sulla fotografia in una metafora da decrittare attraverso l’analisi culturale dei simboli propri della sua appartenenza etnica e filosofica.

 

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