IL TEATRINO DI WILLIAM KLEIN
Klein nasce a New York nel 1928, frequenta la scuola di pittura di Fernand Léger. Approda alla fotografia più per caso e curiosità, che altro e, privo di ogni cognizione tecnica, comincia fotografare in modo fortuito vagabondando senza meta nella sua New York.
Ironico e anticonformista con le sue fotografie rompe molte delle regole canoniche della fotografia di quel tempo. Inquadrature tagliate, storte o sgranate divengono per lui la normalità, tanto che quando decide di raccogliere le sue immagini e presentarle ad alcuni editori per un libro:
“Nel 1950 non riuscivo a trovare un editore americano per le mie immagini di New York… Tutti quelli cui ho mostrato le foto esclamavano ‘Questa non è New York, troppo brutta, troppo squallida e troppo unilaterale’ hanno anche detto ‘Questa non è la fotografia, questa è merda!'”.
Klein giustifica il suo gusto anticonformista con la sua ignoranza nella gestione tecnica della macchina fotografia, ma nei suoi occhi furbi e ironici, che ho avuto la gioia di scrutare incontrandolo di persona a Parigi, ho colto consapevolezza e capacità tecniche non comuni, con alle basi una solida cultura artistica.
Nella sua fotografia nulla è casuale, tutto è ben calcolato e finalizzato a produrre un’immagine densa di contenuti.
Nel suo girovagare per il mondo approda anche in Italia, intorno al 1959 gli anni della “Dolce vita”, conosce anche Fellini con cui collabora alla fotografia di alcuni film. Ma soprattutto è attratto dalla quotidianità della capitale e produce moltissime fotografie tra le quali questa di cui oggi cerco di farne una lettura.
A una prima occhiata è evidente come Klein abbia diviso il fotogramma su tre piani distinti: un primo piano con le sedie vuote, un secondo con le sedie e le persone e, infine, un terzo caratterizzato solo dalle sedie accatastate sul fondo.
Incredibilmente sembra di essere a teatro, le sedie in primo piano assumono la funzione di un sipario che si apre sulla scena dove stanno recitando gli attori, dietro i quali troviamo un fondale. E non è un caso…
Evidentemente le sedie in primo piano non hanno solo la funzione di rendere la sensazione di profondità, ma aprono alla scena collocata nel secondo piano, funzionando come i teloni di un sipario: esattamente come a teatro. Perché di teatro si tratta. La vita è una recita e gli attori sul palco recitano il ruolo di una quotidianità semplice e ironica.
Due uomini conversano amabilmente, mentre il terzo, incurante di loro, osserva con “interesse” la signora elegante e particolarmente carina, mentre l’uomo seduto di fronte a lei guarda altrove, quasi annoiato.
Come attori sul palcoscenico i soggetti inquadrati da Klein recitano la loro parte alla perfezione esprimendo al meglio le interazioni psicologiche che intercorrono tra loro. E qui sta anche la bravura di Klein nell’aver colto il momento migliore, nell’esprimere la metafora della vita in cui si mescolano sottile umorismo e semplicità, infatti tra i personaggi non si percepisce tensione, ma pacata rilassatezza e lo sguardo dell’uomo sulla sinistra sembra accarezzare con voluttuoso desiderio la donna dell’altro, rimandando a pensieri impuri, ma nello stesso tempo scanditi da sottile ironia.
Lo sfondo disegnato dalle sedie impilate, assume una valenza grafica, astratta. Chi, come me è diversamente giovane, ricorda certamente quei muri di una volta, che presentavano disegni geometrici scavati a rilievo nel gesso dell’intonaco, molto kitsch, immancabili sia nei locali eleganti, che nei teatri.
L’andamento sinuoso e ondeggiante del disegno conferisce energia e movimento alla scena, che altrimenti ci apparirebbe assai statica e anche monotòna. Il contrasto che crea vivacizza l’istante che Klein ha colto, armonizzando masse e volumi e forme in un equilibrio perfetto tra staticità e dinamica.
La vita come una rappresentazione teatrale, ho richiamato sopra, e questo è vero soprattutto per quell’epoca in cui la “Rivista” era lo spettacolo più apprezzato. Il cliché della prima donna, attorniata dai ballerini, in fondo, in questa fotografia è riproposto molto bene, così come la vitalità di una società benestante e spensierata proiettata verso il boom economico.
Ecco che così con semplicità e ironia, in una sola fotografia tutt’altro che banale, Klein ha saputo raccontare una generazione, esprimendo al meglio le sue doti di genialità, sensibilità e ironia, certamente non comuni.
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