ALEKSANDR MICHAJLOVIČ RODČHENKO AND THE PIONEER
Aleksandr Michajlovič Rodčhenko nacque il 23 novembre 1981 a San Pietroburgo, presso una famiglia molto povera.
Da giovane egli inizia a lavorare presso uno studio dentistico e diventa odontotecnico, anche se sembra un particolare trascurabile, in realtà quest’attività gli valse l’acquisizione di un’ottima manualità.
Durante la sua vita artistica egli ha coperto con profitto dalla pittura alla scultura, al collage e alla fotografia; in particolare a quest’ultima egli diede un vigoroso impulso e “nuove prospettive”.
Il 3 dicembre 1956 muore a Mosca, in assoluta povertà e dimenticato da tutti, dove viene sepolto.
Gli ultimi anni del 1800 e i primi cinquant’anni nel 1900 furono particolarmente prolifici dal punto di vista della genialità artistica.
Moltissimi movimenti nacquero in quel periodo: l’impressionismo, il cubismo, il futurismo, il surrealismo e, non ultimo, il costruttivismo di cui Aleksandr Michajlovič Rodčhenko fu uno degli esponenti più rilevanti.
Ecco quindi che per capire bene lo spirito e l’arte di Rodčhenko occorre comprendere perfettamente lo spirito del movimento costruttivista.
Questo movimento nacque in Russia dopo la fine dello stato zarista e l’instaurarsi della dittatura comunista.
Nel 1920 uscì il Manifesto di Gabo, in cui era racchiusa la teoria di un valore assoluto dell’arte, indipendente dalla società, sia essa capitalista, socialista o comunista; egli rifiutava il passato proprio giacché non esisteva più e negava l’utilità del futuro perché non esisteva ancora:
“Il passato non è più vita, il futuro non è ancora vita. …per noi le urla sul futuro equivalgono alle lacrime sul passato…. chi si occupa oggi del domani, è occupato a non far nulla. Lasciamo il futuro ai profeti. Per noi prendiamo l’oggi.”
Al Manifesto di Gabo rispose il gruppo di Tatlin, al quale si associò Rodčhenko, caratterizzato da una presa di posizione oltremodo radicale:
“Abbasso l’arte. Viva la tecnica. La religione è menzogna. L’arte è menzogna… Viva il tecnico costruttivista. Abbasso l’arte, che maschera solo l’impotenza dell’umanità. L’arte collettiva del presente è la vita costruttiva“.
Il movimento costruttivista, si fondava sull’idea del superamento della distinzione tra le varie forme artistiche, che era interpretata come distinzione gerarchica delle classi sociali, bensì sulla creazione di un tipo di arte serratamente saldato alla realtà̀, al servizio della rivoluzione popolare, dando a essa un riscontro di tipo propagandistico.
Nel manifesto del gruppo produttivista, redatto da Rodčhenko insieme alla sua compagna Varvara Stepanova nel 1920, sono poste “le basi dell’espressione comunista della costruzione materialista”, che sono la tettonica, la costruzione e il prodotto.
“La tettonica deriva dalla struttura stessa del comunismo e dallo sfruttamento effettivo del campo industriale.
La costruzione, che è organizzazione, accoglie gli elementi della cosa già̀ formulati (volume, piano, colore, spazio e luce).
La costruzione è un’attività di formulazione portata all’estremo, che permette tuttavia un ulteriore lavoro tettonico.
La cosa scelta e usata effettivamente, senza ostacolare il progresso della costruzione né limitare la tettonica, viene dal gruppo chiamata prodotto.”
Gli elementi materiali che saranno il fine della loro indagine sono “la cosa in generale”, ci cui verrà indagata l’origine, le sue modificazioni industriali e di produzione, la sua natura e il suo significato, e “i materiali razionali”, cioè la luce, il piano, lo spazio, il colore, il volume.
Le loro parole d’ordine saranno:
- Abbasso l’arte, viva la tecnica.
- La religione è menzogna, l’arte è menzogna.
- Si uccidono anche gli ultimi resti del pensiero umano, legandolo all’arte.
- Abbasso il mantenimento delle tradizioni artistiche, viva il tecnico costruttivista.
- Abbasso l’arte, che solo maschera l’impotenza dell’umanità.
- L’arte collettiva del presente è la vita costruttiva!
Rodčhenko sperimentò tutte le tecniche dell’arte, dalla pittura, alla costruzione di forme tridimensionali, al design di oggetti d’uso alla illustrazione e grafica pubblicitaria, fino alla fotografia, influenzando moltissimo il design contemporaneo.
Uno dei suoi concetti più importanti è proprio questo:
“E’ tempo che l’arte confluisca in maniera organizzata nella vita”.
Inizialmente egli si dedica intensamente ai collage di filone dadaista, grazie ai quali comprese tutte le potenzialità della manipolazione delle immagini.
In seguito, egli passerà dal cubofuturismo al costruttivismo, divenendone il maggiore esponente.
Nella sua opera costruttivista avrà grande spazio la grafica, più del colore.
La linea è l’elemento che definisce la struttura di base dei suoi lavori, come espose nel suo saggio sulla linea del 1919:
“La linea definisce l’intera costruzione nel suo insieme, in quanto ne definisce le caratteristiche generali. In questo caso, la linea è scheletro, rapporto tra i diversi piani”.
Durante tutta la sua vita artistica, insistette a cercare nuovi percorsi creativi, anche nella scultura e nella fotografia.
Proprio in quest’ultima egli scopre la sua forza d’impatto come mezzo espressivo puro, rendendosi conto della debolezza di espedienti quali il fotomontaggio e la manipolazione in camera oscura.
La sua prima esperienza in fotografia, fu la realizzazione delle copertine per la rivista LEF, con “Fronte di sinistra delle arti”.
In una di queste copertine, del 1923, compose in un fotomontaggio l’immagine di una macchina per scrivere e, in primo piano, una macchina fotografica e un obiettivo: sono gli strumenti che sintetizzano la rivoluzione della comunicazione.
“Era la tecnica che mi appassionava e presi a fare esperimenti senza uscire di casa. Nacque così la serie ‘vetro e luce’ e i balconi fotografati dall’alto in basso e viceversa. Il caso volle, dunque, che fossi io a segnare l’inizio della nuova fotografia in URSS.”
La rottura dei canoni prospettici classici è una costante nella produzione fotografica di Rodčhenko: egli inquadra i suoi soggetti dall’alto o dal basso, inquadratura che lui definisce “ripresa ombelicale”, obbligata dall’utilizzo di apparecchi medio formato di tipo Rolleiflex, con mirino a pozzetto.
In questo modo la macchina fotografica, posta obliquamente, isola ed evidenzia linee sfuggenti, curve, diagonali, asimmetrie, cogliendo le forme del mondo da prospettive inconsuete, capaci di sorprendere e disorientare l’osservatore.
In alcune delle sue foto più conosciute, come la scalinata o “Ragazza con Leica”, si rende lapalissiano l’uso intensamente grafico delle ombre, espressione evidente di quel rigore geometrico e compositivo che gli fu proprio fin dai primi quadri astratti creati in seno al Suprematismo.
“Voglio cogliere alcune fotografie piuttosto incredibili che non sono mai state riprese prima … immagini che sono semplici e complesse al tempo stesso, che stupiscano e stravolgano la gente, devo raggiungere questo obiettivo in modo che la fotografia può iniziare a essere considerata una forma d’arte.“
scrisse nel suo diario il 14 marzo, 1934
In seguito, Rodčhenko divenne sempre più ossessionato dalle angolazioni estreme, convinto che:
“i punti di vista più interessanti di oggi sono dall’alto e dal basso”.
Veniamo ora alla fotografia che ho scelto per il commento.
Questa fotografia che, se l’avesse scattata chiunque di noi, avrebbe scatenato le critiche più aspre, è oggi annoverata tra i capolavori di Rodčhenko: cerchiamo di comprenderne il motivo.
Innanzitutto va ricordato che si tratta di una fotografia scattata negli anni ’30 e che fa parte di un lavoro molto più ampio su questi ragazzi “Pioneer”, che potremmo equiparare ai nostri Boyscout e che dovevano rappresentare un po’ “la migliore gioventù” del regime.
Tuttavia proprio per via di queste fotografie, Rodčhenko, se da un lato ebbe grande eco presso i critici d’arte, dall’altro fu per lui l’inizio del declino a livello del sistema comunista, i quanto fu accusato di essere diventato filo-borghese scattando delle immagini che, invece di inneggiare alla supremazia del lavoro operaio, strizzavano l’occhio a un’estetica astratta borghese.
E questo la dice lunga sulle capacitò culturali della Russia dell’epoca, soprattutto essendo a conoscenza che il critico più feroce fu proprio Trotsky, che rea considerato una delle menti più illuminate.
“Con l’inizio degli anni ’30 le autorità non avevano più la necessità di creare delle icone, ma avevano bisogno di persone che potessero essere comandate” — dice Sviblova.
Rodčhenko, che — “ha insistito per fotografare le persone in modo individuale” — ha rifiutato di rientrare in quella categoria.”
Dopo le polemiche su queste immagini e la critica tagliente:
“Come si possono riconoscere i visi vivi, gioiosi e aperti della giovane generazione comunista in questo nodo bestiale e grossolano di muscoli e in questo viso tagliato con l’ascia?”
Rodčhenko passò gran parte del resto della sua vita in un deserto artistico.
Ora veniamo alla lettura vera e propria.
Come ho esposto sopra, l’autore ha incarnato la ricerca di una nuova prospettiva, infrangendo tutte le regole della “buona composizione”.
In particolare ha parlato di “ripresa ombelicale” per porre l’accento su questa sua prospettiva esasperata, dal basso verso l’alto, con la quale egli estremizza, quasi con violenza, i primi piani.
Egli ci parla anche d’immagini semplici e complesse allo stesso tempo, denotando in queste espressioni un’enfatizzazione, probabilmente eccessiva, del suo credo artistico in prospettive particolarmente ardite d’innovative.
Certo questa immagine ci lascia molto perplessi ed è complicato trovare qualcosa di buono sia da un punto di vista estetico che semiologico.
Tuttavia la prima cosa che mi viene in mente è di accostare il volto di questo ragazzo, deformato dalla proiezione prospettica, a una maschera classica della tragedia greca.
La parte inferiore prominente e allargata, la bocca abbozzata in un sorriso un po’ deforme perché esaltata da una dentatura particolarmente sofferta e le orecchie deformi sono gli elementi principali che richiamano alla mente la maschera.
Prendendo in considerazione quest’accostamento e tenuto conto che la maschera è composta di linee disegnate, si può classificare questa figura nell’ambito delle fotografie mitiche, nelle quali l’aspetto plastico è caratterizzato da un elemento grafico molto evidente, in cui le fattezze umane sono convertite in tratti grafici elementari.
Procedendo con la nostra analisi, notiamo che la massa esuberante del mento incarna una sensazione d’imponenza e di vigore, che sono proprie di un busto statuario e questo ci porta alla mente la forza muscolare che si sprigiona dai lineamenti di questo ragazzo e che, traslata in ambito politico, ci riconduce alla potenza della classe proletaria.
Analizzando quest’aspetto, rimango particolarmente perplesso, poiché penso che ciò esprima un contrasto particolarmente stridente con le critiche che colpirono così duramente il povero Rodčhenko.
Gli occhi, abbozzati come fessure prive di dettagli, esaltano il suo sorriso spensierato e ci narrano di una gioventù che guarda fiduciosa verso un futuro, sicuramente positivo e rassicurante.
A tutto quanto abbiamo raccolto come iconopoiesi nei tratti del volto, ci fanno da contrasto i padiglioni auricolari, la cui forma accartocciata e deforme toglie pathos alla stabilità psicologica del ritratto, gravando l’immagine di un significato caricaturale e sminuente: non voluto dall’autore? Non lo so, ma certamente lascia dell’amaro in bocca.
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