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GAYPRIDE2013_0426-RecuperatoOggi l’immagine ha quasi soppiantato la verbalità, tanto che spesso si incontrano persone che hanno perduto la capacità di comunicare verbalmente in modo corretto: verbi, tempi, aggettivi, non parliamo dei congiuntivi: sono un vago ricordo.

Secondo alcuni sociologi e filosofi la sostituzione della parola con l’immagine porta inevitabilmente a un mutamento della specie umana a livello di comunicazione e di processo cognitivo: dalla verbalità alla comunicazione iconica.

Le carenze verbali, che ho citato all’inizio, in assenza di un background culturale, si trasferiscono alle immagini stesse, portando a una sintassi semplificata e ridotta. Tutto ciò tende a portarci a ritroso verso la comunicazione iconica su base astratta e simbolica; per dirla in breve, verso le immagini degli uomini delle caverne, intendendo parlare della loro finalità sociale.

La regressione verso la comunicazione pura di tipo iconico, la possiamo dedurre semplicemente sfogliando le fotografie su internet, sulle riviste e di giornali dove è normale imbatterci in un numero spropositato di immagini apportatrici di significati semplici, rudimentali e di scarsissimo valore culturale; basti pensare alle fotografie di gossip, a quelle pubblicitarie in cui l’elemento umano viene spogliato di ogni dignità e banalizzato a incarnazione dell’oggetto da vendere.

In questa situazione di degrado la fotografia viene a trovarsi coinvolta suo malgrado, anche in virtù della elementarità dei mezzi di ripresa oggi a disposizione. Voi fate “click” al resto pensa il mezzo tecnico, scattate e non pensate, la vostra macchina fotografica riconosce perfino i volti!

In questa situazione ci si ritrova a produrre fotografie che trasmettono concetti elementari, così come elementare è oggi la verbalizzazione comune, prendiamo ad esempio gli “SMS” dei cellulari.

Pertanto ordinariamente le fotografie che ci vengono proposte riescono a colpirci con immediatezza fisica e non cerebrale. Questo avviene, per fare alcuni esempi, con un paesaggio, la fotografia di un fiore, un ritratto banale, una icona pubblicitaria.

Al contrario, quando osserviamo fotografie di autori veramente e profondamente impegnati dove l’immagine presuppone un’elaborazione impegnativa delle funzioni superiori, ecco che magicamente la fotografia che stiamo osservando è come muta, non riesce a trasmetterci delle sensazioni emotive immediate; allora ci soffermiamo e guardiamo più intensamente, oppure la mettiamo subito da parte e passiamo oltre. Ma perché? Cosa rende una immagine una FF (Foto Facile) e un’altra una FD (Foto Difficile)? Proviamo a pensarci.

Prima di entrare nell’argomento, voglio premettere che questo articolo non ha alcuna pretesa di giudicare se una FF sia esteticamente meglio di una FD. Desidero solo cercare delle risposte sulle motivazioni che rendono una FF molto più appetibile e introiettabile di una FD.

Quando si scatta una fotografia essa diviene documento del reale, la gente non mette in discussione che quella persona, quel fiore, quel paesaggio fossero veramente di fronte al fotografo, né pone in dubbio la loro esistenza. Successivamente attraverso un processo metonimico, cioè di associazione di idee (per semplificare) tende ad associare l’immagine con il proprio vissuto e a inquadrarla ontologicamente secondo le proprie categorie. Questo processo che potremmo ricondurre alla psicologia della gestalt avviene immediatamente e, riferendoci appunto alla gestalt, non è frazionabile in passaggi intermedi. Vale a dire che quello che sta alla base del riconoscimento e della reazione emotiva è un unicum non divisibile, non come ho affermato prima io per semplificare, se avvenisse per momenti successivi (VISIONE  RICONOSCIMENTO  CLASSIFICAZIONE).

Quindi una FF deve necessariamente contenere elementi le cui rappresentazioni appartengano a un’esperienza comune, facili da riconoscere, che stimolino ricordi gradevoli e sensazioni positive.

Direi che deve esprimere elementi naive, intendendo questo termine nella sua accezione di semplicità e non nel senso di “assenza di contenuti culturali”. Le FF, infatti, portano dentro di sé una grande forza comunicativa e racchiudono esperienze primitive, talora anche di grande spessore ideale ed estetico.ù

In esse viene espresso l’ovvio, la tautologia del quotidiano e credo di non sbagliarmi citando le parole di Helmut Gernsheim quale rivelazione profetica elevandole a specchio fedele dei fondanti delle FF: “La fotografia è l’unico <<linguaggio>> compreso in ogni parte del mondo e, superando tutte le nazioni e le culture unisce la famiglia umana”.

La conseguenza più immediata di una FF è il successo che si palesa nelle varie gallerie web, anche in quelle che menano vanto di selezionare e presentare solo immagini di “grande qualità”. Appare quindi lapalissiano che tanto più un’immagine esprime una comune esperienza, tanto più facilmente viene riconosciuta, interiorizza ed elaborata.

Il meccanismo della gestaldt che sottintende a queste immagini, attiva tutti quei meccanismi che sottintendono gratificazione e serenità, un po’ come la comprensione verbale di un opera letteraria popolare. Per gli psichiatri organicisti potremmo dire che sono fotografie che stimolano abbondante produzione di endorfine e serotonina, che incarnano i mediatori della gioia e del “nirvana” mentale.

Per le FD avviene esattamente il contrario.

Queste fotografie si discostano dal comune sentire, propongono icone inconsuete, enigmatiche o, talora, contenenti messaggi che pongono il lettore di fronte a un profondo disagio emotivo. L’immediatezza della quotidiana esperienza viene interrotta.

Lo spettatore è costretto a pensare, ad andare oltre sintassi rappresentativa; in lui si risvegliano suggestioni rimosse o assopite in un angolo del proprio inconscio che vorrebbe mantenere perennemente in ombra, oppure si palesa la difficoltà di interpretare una semantica complessa, che va oltre il suo livello culturale.

Nelle FD entrano in gioco dinamiche molto più complesse di quelle limpide e lineari che le FF evocano con la loro forza iconica.

Come nel linguaggio verbale quando ci imbattiamo in parole o frasi che escono dalle nostre abitudini articolatorie e quindi ci suonano strane o oscure, così di fronte a certe immagini lo spettatore è disorientato. Non riesce a seguire quel filo di Arianna che lo indirizza a trovare una risposta alle sue domande: “Cosa significa? Perché mi viene mostrata una fotografia dal contenuto così drammatico o osceno o provocatrice di profondo disagio o dal significato che non colgo? Cosa sto osservando? Come la colloco ontologicamente?”

E’ in questo frangente che dovrebbe sempre intervenire in soccorso quella che definirei la “Cultura Fotografica”. Quell’insieme di conoscenze correlate alla storia della fotografia, alla produzione degli autori più significativi, della critica fotografica e anche dell’arte in senso lato (movimenti, scuole, manifesti, ecc.), tutto concorre a porre le basi per una lettura disincantata e corretta della FD.

Accanto a quanto ho esposto sopra, devo precisare alcune peculiarità di queste fotografie. Spesso sono parte di lavori più ampi (reportage) e quindi valutare la singola immagine è spesso riduttivo, anzi controproducente, in quanto la decontestualizzione la pone in una posizione di grande svantaggio. Un altro punto problematico è la grande massificazione delle immagini. Come ho scritto all’inizio, siamo invasi di immagini mediocri, per non dire scadenti e i cui contenuti sono di facilissima lettura, tali foto condizionano il fruitore il quale trova più comodo e semplice adagiarsi su di esse, trascurando le FD che richiedono un maggiore impegno sia culturale che di tempo.

In molti casi le FD sono riprese in BN, linguaggio quantomeno anomalo per chi è naturalmente avvezzo a vedere solo a colori. Colori che spesso nelle FF sono falsati in maniera plateale, pensiamo a certi paesaggi, ma che stimolano quei meccanismi mentali che stanno alla base del “piacevole guardare”.

Le fotografia in BN richiedo una elaborazione mentale molto più sofisticata, che oggi si è andata perdendo. Mentre i fruitori delle immagini agli albori della fotografia erano abituati ad un linguaggio monocromatico (esisteva solo la fotografia in BN), oggi spesso avviene l’opposto: chi viene chiamato a visionare una fotografia in BN è avvezzo alla visione a colori e deve adattare il suo habitus mentale, spesso con un certo sforzo.

Le FD necessitano, a differenza delle FF, di un solido bagaglio culturale, mettendoci nella condizione non solo di arrivare a disvelarle, a compenetrarle fino in fondo e quindi a “leggerle” apprezzandone tutti i significati e a porre le basi di un rapporto simbiotico con l’autore, ma di appagare anche il nostro animo con grandi soddisfazioni intellettuali.

A conclusione di quanto ho cercato di spiegare, non ci si deve dimenticare dell’autore.

Non dimentichiamolo mai! Egli è l’artefice dell’icona, rappresenta il punto di partenza di tutto, la sua cultura quindi è la base della sua produzione fotografica e rappresenta il fondante che si pone a spartiacque tra la produzione delle FF o delle FD.

 

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