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Rifacendomi alla semiotica di Floch, possiamo utilizzare il termine “plastico” come sinonimo di “aspetto estetico della fotografia”, anche se magari non tutti concordano.

Esso è suddiviso in tre concetti basilari:

  • La nozione topologica;
  • La nozione eidetica;
  • La nozione cromatica

Brevemente, come nelle due illustrazioni che seguono, vi anticipo che per

“NOZIONE TOPOLOGICA” intendo la visione spaziale, cioè l’inquadratura, che è il primo intervento che ogni fotografo fa quando scatta una foto.

”NOZIONE EIDETICA” si assimila alla composizione delle linee, dei terzi, dei pesi delle masse, al grado di astrazione.

”NOZIONE CROMATICA” si riferisce prima di tutto alla scelta del BN o del COLORE e poi ai contrasti del BN o delle cromie.

 

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Analizzando l’aspetto topologico vediamo subito come in questo genere fotografico l’obiettivo più utilizzato sia il grandangolare, e questo perché consente di avere un ampio campo di ripresa riuscendo così a esprimere adeguatamente la contestualizzazione dei soggetti ritratti. Tante volte, questi obiettivi, sono utilizzati anche nelle riprese di primi piani proprio per collocare il soggetto nell’enunciato fotogiornalistico, pur isolandolo dallo sfondo o, come detto prima, per inserirlo in un preciso contesto.

Un’altra finalità sta nello sfruttare le deformazioni prospettiche ai fini di una enfatizzazione della drammaticità della scena.

Per meglio illustrare questo concetto, vi propongo una mia immagine scattata in Camerun.

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In questa mia immagine ho inteso dare un tocco di senso di angoscia al momento che precede il parto, sfruttando la obliquità dell’inquadratura. Faccio un breve digressione spiegando che le linee verticali esprimono vitalità e nel contempo peso, gravitò; le orizzontali stabilità e quiete. Le oblique sottintendono il movimento, che è dinamica, facilità, discesa e gioia se l’obliqua va dall’alto a sinistra verso il basso a destra, il contrario per l’obliqua antitetica. Qui, appunto significa fatica, affanno, paura.

Tengo qui a porre in evidenza come nel reportage sia fondamentale il concetto di come la fotografia sia più importante per quello che rappresenta e non tanto per come lo rappresenta.

Da queste riflessioni ne deriva chel’utilizzo eidetico dell’immagine nell’ambito dell’estetica classica, e mi riferisco alla “Fine Art”, nel reportage ha una valenza apparentemente secondaria, anche se le regole basilari dei terzi, del bilanciamento delle masse e quant’altro viene comunque seguito in modo naturale dai fotografi.

Nel reportage, comunque, l’aspetto eidetico dovrebbe essere sempre piegato alla funzione di sottolineatura del contenuto indicale, come per esempio nella fotografia dello Sbarco in Normandia di Capa.

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 In questa fotografia troviamo tutto quello che i puristi della “Fine Art” rifuggirebbero con orrore, tuttavia l’essenzialità delle linee, il mosso i contrasti “secchi”, quasi brutali esaltano la drammaticità del momento.

Purtroppo i fotoreporter di oggi tendono a promuovere esattamente il contrario: a esaltare il contenuto estetico dell’immagine a discapito del messaggio documentale. Questo è di lapalissiana evidenza nelle immagini dei vincitori degli ultimi concorsi della World Press Photo, come Paul Hansen che ha vinto presentando una fotografia pesantemente ritoccata con Photoshop.

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Prima di lui anche molti altri si sono dedicati a una fotografia non solo estetizzante nel suo lifting con photoshop, ma addirittura ricalcando le icone proprie dell’arte figurativa classica.

Qui cito due esempi dignificativi di come questo linguaggio basato su un puro rifarsi a modelli di un’estetica ormai passata, sia pericoloso e fuorviante rispetto a quello che dovrebbe essere la semplice linearità del reportage.

Questa ansia continua, tutta tesa a voler creare a tutti i costi un’icona estetica, è un ricorrere pericoloso ad un linguaggio che rischia di dare importanza alla compassione a discapito dell’informazione e di puntare più sull’emotività, che su i fatti, cercando di ottenere un’empatia immediata, invece della paziente comprensione storica che i fatti reali necessiterebbero.

La fotografia di George Mérillon, del 1990, Diapositiva18 venne scattata in Kosovo e è la ripresa dei familiari attorno a una delle vittime, Nasimi Elshani, della repressione di Slobodan Miloševiƈ, a Drenica, contro i ribelli mussulmani kossovari nei confronti del regime di occupazione cattolico serbo.

Si può individuare con facilità la somiglianza a dei classici della pittura, in particolare fiamminga.

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L’estetizzazione qui si è così spinta oltre, che lo scultore Pascal Convert ne trasse un’opera d’arte intitolata “Pietà du Kosovo”. Fu così che anche il titolo originario della foto, che era “Veille Funèbre au Kosovo”, diventò: “Pietà du Kosovo”. Diapositiva21

Analogo discorso per la fotografia di Hocine Zaourar: “La Madone de Bentalha”.

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Come potete osservare, anche questa fotografia riprende temi estetici della pittura classica:

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Ormai, salvo rare eccezioni come Raffaele Ciriello

 

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(A soli 42 anni Raffaele Ciriello resta ucciso a Ramallah, in Palestina da sei colpi di un tank israeliano, diventando così il primo giornalista straniero caduto nell’Intifada), il mondo dell’immagine di reportage è allineato a questi canoni del bello, a mio avviso ricchi del vuoto della ridondanza del messaggio estetico e del copiare riproponendo ossessivamente la stessa fotografia.

Devo sottolineare che questa ossessione di proporre immagini accattivanti esteticamente, assimilate con facilità complice dai media e digerite dal comune osservatore, che si fa trascinare dalla facile onda dell’emotività, ha portato il reportage a perdere attendibilità presso i lettori.

Infine l’ultimo aspetto sia semantico, che estetico da prendere in considerazione è l’utilizzo cromatico.

Il primo tema da affrontare è l’annoso problema: bianconero o colore?

La scelta se utilizzare uno o l’altro linguaggio è strettamente personale ed si fonda su percezioni estetiche proprie dell’autore.

Certamente vi è una notevole differenza tra i due modi di esprimersi: mentre bianco e nero è un linguaggio meno immediato, più concettuale, che richiede un’intermediazione di lettura da parte dell’utilizzatore finale, il colore, al contrario, si offre come mediatore a una comprensione più immediata.

Le manipolazioni che si fanno oggi delle foto a colori, strizzano l’occhio a una facile estetizzazione propria della moda dei media d’oggi, le tecniche di desaturazione o, al contrario, di enfatizzazione delle cromie, rendono le foto sicuramente più appetibili dal punto di vista della godibilità all’occhio, ma mascherano in modo subdolo e fuorviante il messaggio indicale. A questo gioco estetizzante concorre anche l’imbroglio del bianco e nero con le sue tecniche di mascheratura e rimaneggiamento che anch’esse possono falsare il messaggio documentale.

In conclusione entrambi i metodi espressivi sono assolutamente equiparabili e la scelta dipende soltanto dalla sensibilità dell’autore; forse la scelta del bianco e nero comporta un maggiore sforzo interpretativo, soprattutto oggi che si può scegliere tra i due linguaggi, da parte dell’osservatore finale.

Comunque, essendo io un amante del BN, voglio qui riportare due frasi di Leo Matiz:

“[…] Il bianco e nero è l’immagine forte, l’immagine che definisce tutto. Inoltre è l’inizio dell’esistenza: tutto in una silhouette, tutto si proietta in ombre e quindi il nero e il bianco. […] La seconda parte di una buona fotografia è fatta in laboratorio: l’abilità delle mani: è quella che va a dare toni in certe zone dell’immagine che altrimenti scomparirebbero, resterebbero piatte, è come la scultura, e come modellare la fotografia e per questo devi avere la mano… E magico, è la magia delle mani. […]”

La magia di un reporter…

Un’ultima freccia devo spenderla per la “pulizia formale” dell’immagine; infatti, il reportage mette spesso il fotografo in situazioni di rischio personale e di dover scattare molto rapidamente, quasi senza avere il tempo di riflettere adeguatamente. Anche se per il bravo fotoreporter seguire le regole basilari (terzi, linea dell’orizzonte, ecc.) è un fatto istintivo, tuttavia talora si vedono fotografie in cui magari viene tagliato un piede o con un mosso o micromosso che possono infastidire. In questi casi, se la fotografia è impregnata da un contenuto molto forte, queste imperfezioni scivolano in secondo piano e l’immagine sicuramente non perde il suo valore.

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