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Sebbene sia noto fin dagli esordi della psicoanalisi che tra essa e la fotografia esistono rapporti di stretta interazione, i libri che trattano questo argomento sono veramente rari.

Carlo Riggi, psicoanalista di mestiere e fotografo per amore, in questo suo volume ha affrontato con semplicità e chiarezza i vari aspetti di questo rapporto. Il suo libro si legge senza problemi, con facilità, grazie alla sua chiarezza espositiva e alla sua capacità di rendere semplice il difficile.

Trovo che questo libro meriti un posto particolare nella biblioteca del fotoamatore e meriti una lettura attenta che consenta di comprendere alcuni meccanismi psichici che mettiamo in atto nel momento dello scatto, dei quali non abbiamo immediata coscienza.

Cito un brano del suo libro:

Ai fotografi di oggi viene naturale disinteressarsi del tutto della scena per andare a compulsare l’esito di ogni scatto sul monitor della digitale – Fanno come le mamme che cominciano a prenotare le ecografie fin dal primo mese di gravidanza: ma, ditemi, quando lo concepiscono …il bambino …se lo vedono subito?!

Il reale irrompe, satura l’immaginazione e costituisce una barriera protettiva contro l’esperienza emotiva. Il dato esterno, oggettivato dall’immagine sul monitor, si sovrappone all’emozione che dovrebbe evocare, annullandola. Il compulsare il risultato dopo lo scatto digitale è un continuo rompere la tensione, uscire dalla situazione, sostituire una definizione a un’emozione. E “ciò che io posso definire non può realmente pungermi(a proposito di punctum fotografico) ” direbbe Barthes.

La Fotografia ha bisogno di due tempi: quello della sensazione e quello della elaborazione. E’ impossibile sperimentare un’emozione e allo stesso tempo studiarla pienamente nella coscienza. Quando una sensazione viene sperimentata viene subito sottoposta a un lavoro di stabilimento di relazioni che possono prender la forma di una percezione o di una immaginazione. Questo lavoro di elaborazione è sempre retrospettivo, richiede tempo di latenza.

Lo scatto su pellicola fa si di acquisire un pezzo di realtà che viene conservato e trattato in una sorta di preconscio ausiliario; grazie a questo lavoro di elaborazione quel materiale viene validato e può rivelare frammenti di mondo letteralmente “invisibili”. Il fotografo raccoglie la foto nel punto stesso dove ha previsto di incontrarla. Quando poi la ritrova egli ne resta stupito come vedesse per la prima volta qualcosa di finora indefinito della sua realtà interna ed esterna. E permette di dare rappresentabilità a cose altrimenti inconoscibili”

Autore: Carlo Riggi
Titolo: L’esuberanza dell’ombra, riflessioni su fotografia e psicoanalisi
Per ottenere il volume andare qui

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4 Comments

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